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TROVARE LA LUCE NEI LUOGHI PIÙ OSCURI
David Sheff, giornalista e scrittore, è autore del celebrato memoir Beautiful Boy, dal quale nel 2018 è stato tratto l’omonimo film e di All We Are Saying: All we are saying. L’ultima grande intervista con John Lennon e Yoko Ono.
Parallelamente alla sua attività letteraria, tiene conferenze sui disturbi derivati dalla dipendenza da droghe e sulle malattie mentali. Si è laureato alla University of California, Berkeley. Attualmente vive con la famiglia nella California del Nord.
Avrebbe potuto restare un nome qualunque quello di Jarvis Jay Masters, uno dei tanti nel lungo elenco dei condannati ingiustamente alla pena di morte in qualche durissimo penitenziario americano. Un giorno avremmo sentito distrattamente la notizia della sua esecuzione, ci saremmo indignati di fronte a una simile barbarie, poi, passato lo sdegno, ci saremmo dimenticati di lui e della sua storia. Sì, perché la vita di Jarvis aveva tutti i presupposti per un copione prevedibile dal finale altrettanto scontato: un’infanzia negata nella più totale assenza d’amore, sfociata in un’adolescenza all’insegna della criminalità, fino alla reclusione nel carcere di massima sicurezza di San Quentin a soli diciannove anni, e in aggiunta a tutto questo l’imputazione infondata per concorso in omicidio di una guardia carceraria costatagli il trasferimento nel braccio della morte.
In quel luogo di vite senza futuro, vecchiaia, rimorso e rimpianto, Jarvis si ritrova solo con se stesso, a dover fare i conti con il suo passato di sofferenza subìta e inferta. Crisi di panico, scatti d’ira e forti stati di depressione gli sconvolgono l’anima, ma arriva un consiglio non richiesto e inaspettato che scombina il suo destino, solo all’apparenza già scritto: provare a calmarsi con la meditazione. È così che, nonostante un’iniziale refrattarietà, intraprende un percorso irreversibile di liberazione che lo porterà molto più lontano di quanto avessero immaginato lui e chiunque gli sia stato affianco negli ormai trentadue anni di reclusione.
Guidato da venerabili maestri buddhisti come Chagdud Tulku Rinpoche e Pema Chödrön, tuttora una delle sue più grandi amiche e sostenitrici, Jarvis si è scoperto un uomo diverso, un uomo di pace, capace di vivere il suo dolore ma soprattutto di curarlo e prevenirlo attorno a sé, aiutando chiunque, vicino e lontano, a trovare la chiave per uscire dalla propria prigione.
Serviva una voce estremamente sensibile per ricostruire il lavoro che Jarvis ha fatto sulla sua mente, una voce che riuscisse a raccontare questa storia straordinaria senza cadere in cliché.
David Sheff ha raccolto la sfida, e se in un primo tempo è stata la curiosità a portare la sua attenzione questo caso, poco alla volta si sono fatti spazio in lui un sincero interessamento, la stima e l’amicizia nei confronti di un uomo che ha imparato a dare un senso al suo dolore e una nuova direzione alla sua vita.
Nessuna critica al sistema giudiziario americano in queste pagine, l’ineluttabilità e la durezza della pena di morte sembrano perdere consistenza, il braccio della morte diventa allora metafora delle prigioni mentali che ognuno di noi crea e alimenta, in un racconto biografico che mette il lettore di fronte alle proprie chiusure.
Non si proveranno né pena né pietà, si rimarrà invece accecati dalla luce degli occhi di Jarvis, tanto da desiderare di voler incrociare quello sguardo.
La forza e la bellezza del suo cambiamento hanno valicato l’asfissiante perimetro della sua cella, in un’onda di compassione capace di travolgere chiunque in ogni luogo.
IL CAMMINO DIRETTO
Nell’avvicinarci a questo testo magistrale e fondativo di tutta la produzione di bhikkhu Anālayo siamo proiettati nell’orizzonte temporale del buddhismo antico, un orizzonte certamente a noi lontano dal punto vista cronologico, ma anche concettuale. Si tratta, infatti, del tempo che possiamo considerare più vicino alla predicazione diretta del Buddha.
Il Satipaṭṭhāna-sutta, il discorso antico al cuore di questo lavoro di ricerca, è uno tra i più importanti del Canone pāli sui quattro fondamenti della presenza mentale. Qui, in queste pagine, ne viene proposta la traduzione e l’esegesi a opera di uno degli studiosi più riconosciuti a livello internazionale nello studio filologico delle opere del buddhismo antico.
L’estremo rigore, la conoscenza di molteplici lingue antiche e la capacità di far dialogare i testi antichi con le opere della contemporaneità hanno permesso al venerabile Anālayo di restituire al lettore un’analisi quanto più dettagliata dei concetti fondamentali alla base della meditazione veicolati da questo discorso. Senza voler stabilire la validità di un particolare sistema di meditazione rispetto ad altri, in un movimento continuo di chiarificazione dei termini e di ricerca tra le fonti, l’autore rende chiare le molteplici implicazioni di questo testo necessario a chiunque pratichi, rivelando così la meravigliosa architettura dell’approccio del Buddha alla meditazione.
Satipaṭṭhāna, il termine pāli per “fondamenti della presenza mentale” o “fondamenti della consapevolezza”, è il concetto chiave per intraprendere il cammino diretto verso la liberazione, è il primo passo del percorso interiore che deve compiere chiunque abbia come obiettivo il risveglio della propria mente. Non c’è realizzazione senza pratica, ci dice bhikkhu Anālayo, e la pratica comincia proprio a partire dai quattro fondamenti della presenza mentale.
Questo testo diventa allora guida a tutti gli effetti: l’analisi del discorso si combina con l’obiettività distaccata dell’accademico e l’impegno del praticante, per il quale la meditazione è uno stile di vita, non solo argomento di studio.
Bhikkhu Anālayo è un monaco della tradizione Theravāda. Nato in Germania nel 1962, ha ricevuto l’ordinazione monastica nello Sri Lanka nel 1995. Con le sue oltre quattrocentocinquanta pubblicazioni è il massimo studioso del buddhismo antico. È stato professore di studi buddhisti all’Università di Amburgo, è uno dei fondatori dell’Āgama Research Group (Taiwan e Italia), e membro del Numata Center for Buddhist Studies presso l’Università di Amburgo. Attualmente risiede presso il Barre Center for Buddhist Studies, Massachusetts. Trascorre la maggior parte del suo tempo in solitudine, in ritiro silenzioso. Insegna meditazione da molti anni.

“Una vita meditativa del Buddha” di Bhikkhu Anālayo.
“Il Buddha, come meditava?” è la domanda alla quale cerca di rispondere questo volume.
Ce ne parlano Emanuele Basile, Direttore Editoriale di Ubiliber, e Bhikkhunī Dhammadinnā.
Le relazioni superficiali e profonde tra musicisti e buddhismo, canzoni e meditazione, Tibet e suono sono infinite. Le nostre playlist seguono le tracce che queste ci suggeriscono,insieme a libri e autori, nostre libere associazioni e il piacere dell’ascolto.
Chissà se se vi piacciono.
Ogni vostra scoperta o indicazione è benvenuta: [email protected]




L'opera del maestro zen Thich Nhat Hanh introdotta da Emanuele Basile, Direttore Editoriale, e Phap Ban, monaco nella tradizione di Thich Nhat Hanh che ne ha scritto l'introduzione.
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